L’inchiesta sull’acqua inquinata
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Anche le “Iene” parlano dell’inquinamento dell’acqua!

Inchiesta sull’inquinamento delle falde acquifere

La recentissima inchiesta delle IENE, il programma di Italia 1, ha portato all’attenzione del grande pubblico il tema dell’inquinamento delle falde acquifere che da decenni minaccia il nostro paese. Un problema che le istituzioni hanno sempre sottovalutato o addirittura ridimensionato e che anche i mezzi di informazione non hanno mai denunciato adeguatamente. Per fortuna, anche se in maniera molto tardiva, stampa e tv stanno prendendo coscienza della gravità di alcune situazioni e stanno invitando le istituzioni preposte a prendere provvedimenti. In alcuni casi, purtroppo, le maggiori responsabilità sono proprio delle istituzioni, per esempio l’istituto Superiore di Sanità che innalza le soglie di tolleranza dell’inquinamento idrico pur di far rientrare alcuni casi nei parametri consentiti. Clamoroso è quello denunciato proprio dall’inchiesta del programma di Italia 1 qualche giorno fa nel servizio realizzato dalla brava Nadia Toffa.

Valori dell’acqua sopra le soglie di inquinamento

L’inchiesta si occupa del “caso Miteni”, un’industria che sorge proprio sopra la falda acquifera deputata a rifornire le province di Vicenza, Padova e Verona. Quest’azienda genera i “Pfass”, materiali che vengono correntemente utilizzati per vari tipi di produzioni, dalle pentole ai cartoni della pizza. Si tratta di sostanze altamente inquinanti che per decenni hanno compromesso la sanità dell’acqua di queste zone, acqua utilizzata quotidianamente per opere pubbliche come le irrigazioni dei campi e il mantenimento degli allevamenti, ma anche per fini domestici, banalmente l’acqua che per tanti anni è uscita dai rubinetti delle case di queste province. Soltanto nel 2013 l’ARPAV (Agenzia per la protezione ambientale del Veneto) ha fatto suonare l’allarme e la Direzione della Sanità regionale ha imposto i sistemi di filtraggio alla fabbrica. Filtri che peraltro, sottoposti a numerosi test, non hanno garantito il 100% delle performance in tutti i mesi dell’anno: nei mesi più caldi infatti questo sistema si deteriora e i valori dell’acqua rimangono sopra le soglie di inquinamento. Un caso analogo a quello della Fabbrica Dupont che negli USA ha dovuto riconoscere ai cittadini delle zone colpite un risarcimento complessivo di 300 milioni di $. In Veneto invece nessuno ha risarcito gli abitanti delle zone “inquinate” per anni. Tra l’altro, proprio in queste tre province e in particolare nelle zone limitrofe alla fabbrica, si è riscontrato un aumento considerevole di diabete, colesterolo, problemi tiroidei e tumori dei reni e dell’apparato genitale. Si tratta proprio delle patologie provocate dalla presenza di questi “Pfass” nel sangue. La popolazione di queste zone è stata sottoposta a controlli ematici su 500 campioni e la percentuale di valori ampiamente sballati a causa della larga presenza di PFOA è stata a dir poco preoccupante. Non parliamo poi degli ex operai della stessa fabbrica, molti dei quali sono stati colpiti proprio dalle patologie sovraelencate. Si tratta di sostanze che impiegano interi lustri per essere smaltite dall’organismo, con l’aggravante che essendo presenti nell’acqua, quindi nella vita di tutti i giorni, vengono continuamente istillate nel sangue fino a che non si smette di bere e assumere “acqua contaminata”. Ovviamente i più esposti a questo tipo di rischi sono i “consumatori diretti” quindi gli abitanti delle tre province venete. Ma trattandosi di una zona della Pianura Padana ad altissima concentrazione di coltivazioni e allevamenti animali, il rischio è estendibile alla popolazione di tutta Italia. Infatti i campi vengono sempre irrigati dall’acqua contaminata e gli animali degli allevamenti bevono dai pozzi inquinati. C’è addirittura un’aggravante, infatti, molti pozzi della zona sono addirittura “indipendenti” dai sistemi di filtraggio installati dalla regione e prendono l’acqua direttamente dalla falda sottostante alla fabbrica. Questa situazione poco pubblicizzata, ma davvero drammatica è resa ancora più grave, come dicevamo prima, dai parametri imposti dalle istituzioni. Prendiamo ad esempio sempre il PFOA, cioè la sostanza incriminata. In Italia la soglia di “inquinamento” è fissata a 530 nanogrammi per litro. Negli USA è fissata a 70 nanogrammi, in Germania a 100. Gli studi tedeschi di tossicologia ambientale considerano PFASS e PFOA, sostanze a rischio cancerogeno. La cosa incredibile è che sostanze come queste, altamente nocive anche a basse concentrazioni, vengano “trattate” così diversamente a seconda del paese. Se ne deduce che la “tolleranza” imposta dal nostro Istituto di Sanità sia di oltre 5 volte superiore a quella di un altro paese dell’Unione Europea. Non si capisce come sia possibile che questo venga consentito, ma si capisce molto bene il motivo per cui le maglie dei nostri controlli siano molto più larghe. Semplice: più alta è la soglia dell’inquinamento, meno industrie risultano “irregolari”. Della salute dei cittadini, peccato, non interessa alle nostre istituzioni. E questa è una delle ragioni per cui i cittadini italiani devono pensare da sé a tutelare maggiormente la loro salute. In questo caso, per prevenire i rischi elevatissimi dell’inquinamento idrico l’unica soluzione è attrezzare la propria casa con un autonomo impianto di depurazione. E se possibile, produrre nel modo più autonomo possibile anche gli alimenti. Ovviamente utilizzando la “propria” acqua depurata. Visto che lo “stato” non è in grado di garantirla.

Per chi volesse vedere il servizio completo, questo è il link: http://mdst.it/03v653127/